19 Marzo 2020
San Giuseppe in Sicilia tra tradizione ed emozione
Quella di San Giuseppe è, probabilmente, la ricorrenza più sentita in Sicilia dopo il Natale.
Forse è così speciale perché ci permette di dedicare un pensiero e un’attenzione in più alle colonne portanti della nostra vita, a quelle rocce che il tempo sembra non scalfire mai con le sue violente raffiche di vento e le sue tempeste improvvise, i nostri papà.
O forse lo è perché profuma di primavera, il sole si fa sempre più caldo, il cielo terso torna ad esser disegnato da nere rondini e le campagne si puntellano di fiori colorati, delicati trampolini per operose api ronzanti senza sosta.
Il 19 marzo è accolto, sin dall’alba, con varie tradizioni che disegnano questa festa; la più diffusa profuma di pane caldo e incanta lo sguardo, riempendo gli occhi con tavolate ricche di piccole opere d’arte fatte di acqua, lievito e farina.
Gli altari di Leonforte, quando il pane si fa arte
La vita di una donna può essere letta dalle sue mani. Quelle delle donne di Leonforte (Enna) sono un mappamondo in cui navigare mentre impastano il pane della tradizione, per celebrare il santo patrono, San Giuseppe. In questa cittadina al centro della Sicilia, San Giuseppe è molto più che una festa: è la celebrazione di un popolo, accomunato dai riti che si svolgono tra farina, lievito e impasti per produrre vere e proprie sculture di pane.
Di generazione in generazione i segreti di quest’arte vengono tramandati, impegnando le donne più anziane per giorni e giorni prima della festa, il 19 marzo (quest’anno, a causa della crisi in corso, la festa si terrà tra il 30 aprile e l’1 maggio).
Nella notte tra il 18 e il 19 marzo a Leonforte il pane diventa il viatico che cuce insieme un lungo percorso tra le tavolate: veri e propri altari allestiti nelle case di chi, per voto religioso, sceglie di donare tempo e fatica. Un momento a cui l’intera comunità si prepara da settimane, con veri e propri comitati di esperti che allestiscono i monumentali altari con veli, nastri e decori. Tante le pietanze sulla tavola: le fave, punta forte dell’agricoltura leonfortese, insieme alle celebri pesche “insacchettate”, le frittate di cardi, e ancora dolci e frutta; al centro del rito rimane il pane, cibo mitico e simbolico allo stesso tempo, che assume la forma di lettere per ricordare le iniziali dei nomi dei santi, in una precisa liturgia scolpita nella tradizione.
Le mani delle donne di Leonforte impastano chili e chili di farina, scandiscono il tempo con il battere ritmico dell’impasto nella maidda, attendono pazienti la lievitazione. Poi si fanno piccole e leggere e, con le dita che volano come minuscoli colibrì, staccano pezzetti di pasta, li accarezzano, li cesellano, li rendono fiori di campo e rose che faranno sbocciare sul pane.
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano…”
L’essenziale, a volte, è visibile agli occhi e sprigiona il profumo del pane caldo, appena sfornato.
L’ammitu di San Giuseppe
Il cuore grande della nostra isola si esprime attraverso i piccoli dettagli: come quello di invitare (l’ammitu, appunto) a casa una famiglia per condividere, anche se solo per un giorno, quello che c’è di più intimo: la propria tavola.
Da est a ovest, da Ragusa a Gibellina, passando per molti paesi del calatino, il voto si fa condivisione cittadina e le tavolate allestite in piazza non sono altari da ammirare, ma da arricchire con il proprio contributo per aiutare le famiglie meno fortunate.
A Ramacca, Palagonia e Scordia, cittadine incastonate tra i verdi agrumeti della Piana di Catania, è tradizione imbastire una tavolata a cui ogni cittadino può partecipare regalando un dolce, un pane o un’altra preparazione “da asporto”, che può essere acquistata in un’asta di solidarietà il cui ricavato aiuterà i più bisognosi rappresentati con un San Giuseppe, una Maria ed un Bambin Gesù.
Le sfince di San Giuseppe
Se in tutte le tavole italiane oggi è un tripudio di zeppole di San Giuseppe, la Sicilia ha le proprie variopinte versioni di questo dolce.
Perché a sud siamo fatti così: festeggiamo sempre con qualcosa di buono, che sia dolce o salato, l’importante è che possa essere offerto, condiviso, gustato in compagnia, magari attraverso un panaro calato da un balcone all’altro per condividere il buonumore ed esorcizzare questi giorni avversi.
Di origine araba, questo dolce ha mille varianti, che acquistano o perdono ingredienti a seconda della località, mantenendo sempre la propria identità di dolce povero nato per esser gustato insieme.
A Catania le sfince di San Giuseppe hanno un impasto di acqua, farina e lievito arricchito da riso e poi fritto a tocchi dalla forma allungati, lucidati da profumatissimo miele.
Nell’Ovest Siciliano, invece, la sfincia ha la struttura leggera ed alveolata della pasta choux, che si fa scrigno di golosa ricotta cunzata e si guarnisce di un’amarena sciroppata o una ciliegia candita ed una pioggia di pistacchio.
Seppur quest’anno sarà un San Giuseppe diverso dal solito, vissuto all’interno delle nostre case, portiamo con noi lo spirito di condivisione e di rinascita che attraversano questa antica festa, augurandoci di ritrovarci presto tutti raccolti alla stessa tavolata.